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Il ruolo del giornalista scientifico tra fisica e data journalism

International School of Science Journalism and Communication – The
Science of Light, 8-13 maggio 2015

di Veronica Nicosia

Sei giorni, circa cinquanta partecipanti tra giornalisti, comunicatori scientifici ed esperti scienziati provenienti da tutto il mondo.
Persone e professionisti uniti dalla passione per la comunicazione della scienza e riuniti nel pittoresco borgo di Erice, in Sicilia, per la 6° edizione della International School of Science Journalism and Communication. “The Science of light”, la scienza della luce, questo il tema scelto dal Centro Ettore Majorana in onore dell’anno della luce indetto dall’Unesco.

Perché eravamo lì? Per fare il punto su cosa significa oggi comunicare la scienza e qual è il nostro ruolo di giornalisti e scrittori. Un ruolo che ci richiede ogni giorno di colmare la distanza tra la lingua parlata dalla ricerca e quella dei nostri lettori, ma anche capire come e quanto velocemente evolvono i canali di comunicazione tra web, social media e data journalism.

La prima distanza che metà dei partecipanti ha dovuto colmare, compresa me, è stata quella tra l’aeroporto di Fiumicino e Palermo. Per noi infatti il rogo a Fiumicino ha reso il viaggio un’avventura, causando anche la perdita del primo giorno di interventi e
laboratorio.

Ad aprire la scuola le lezioni tecniche sulla luce, dalla descrizione della sua struttura fisica alla “speciale candela” che è la radiazione di sincrotrone, sono stati Luca Serafini e Francesco Sette dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). Lezioni in cui abbiamo scoperto cosa sia la luce, da un punto di vista fisico, e conosciuto le molteplici applicazioni della radiazione di sincrotrone, che spaziano dalla ricerca di base all’industria e alla medicina.

C’è la luce delle stelle raccontata nella lezione notturna di Larry Krumenaker, science writer e giornalista in residence all’Heilderberg Institute for Theoretical Studies, che ha ci tenuto con il naso all’insù per una intera serata, insegnando come orientarsi nel cielo
semplicemente usando le nostre mani. E ancora la luce contrapposta al 95% di materia oscura che costituisce l’universo e che noi ad oggi, ha sottolineato il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Roberto Battiston, non conosciamo e non possiamo ancora osservare.

Ai comunicatori e giornalisti Fred Balvert, Nicola Nosengo e Jacopo Pasotti, è toccato invece l’onere di spiegarci cosa significa diventare il ponte tra gli scienziati e il pubblico. Un ruolo delicato perché richiede una costante ricerca della verità, spiega Nosengo parlando dell’evoluzione delle tecnologie legate alla luce fino ad arrivare al Led blu, scoperta che ha vinto il Premio Nobel della Fisica nel 2014.

Il nostro ruolo di comunicatori richiede curiosità e un costante impegno: dobbiamo porre le giuste domande, svegliare il nostro senso critico senza per questo essere annebbiati dalla soggettività, e trovare le giuste risposte. Sia che lo facciamo esplorando luoghi lontani, sia seduti ad una scrivania tra paper pubblicati, dati e ricerche.

Anche gli strumenti a nostra disposizione cambiano ed evolvono, e a spiegarci come muoverci tra loro sono stati Jonathan Gray, della Open Knowledge Foundation, e Liliana Bounegru, dell’European Journalism Center. I dati oggi giocano un ruolo chiave nell’informazione e il data journalism diventa uno strumento essenziale per capire come il pubblico percepisce i temi, soprattutto quelli scientifici: dalle campagne anti-vaccini che si combattono a suon di stati Facebook e cinguettii su Twitter, all’impatto che i robot e i droni hanno sulla privacy e sulla società.

D’altronde “data is gold”, i dati sono oro, ha sottolineato Paolo Ciuccarelli di Density Design/Polimi. Questa la premessa per capire quanto sia importante, nell’era dei “big data”, visualizzarne la complessità. Ciuccarelli ci ha guidati e “illuminati” tra forme e colori, ci ha mostrato le tecniche di visualizzazione della complessità, un compito arduo ma non impossibile.

Abbiamo la scienza, abbiamo i dati e anche i canali e le tecniche di comunicazione. Ma come convincere il nostro pubblico che la ricerca di base è importante? Esiste un gap tra percezione e realtà nel pubblico, ha sottolineato James Gillies, capo della comunicazione del Cern, e colmarlo è un duro lavoro.

Prendiamo ad esempio un grande evento come l’accensione del Large Hadron Collider (Lhc), che ha destato l’irrazionale terrore che un buco nero si formasse proprio a Ginevra. Gillies spiega che, davanti alla diffidenza generale, comunicare correttamente diventa la chiave del problema. Le parole devono essere scelte con attenzione per spiegare la ricerca di base anche ai non addetti ai lavori.

A guidarci in questi sei giorni di scoperte di lezioni e costruttivi dibattiti tra coffee break e qualche bicchiere di marsala, ci hanno pensato i direttori della scuola di Erice Umberto Dosselli dell’Infn e il giornalista Fabio Turone, che hanno creato un ambiente sereno tra i partecipanti, quasi fossero tutti vecchi amici che si conoscono da
sempre.

Merito dei direttori aver chiesto a due di noi, Mohammed Yahia e Toby Shannon, di intervenire. Un’occasione per osservare le differenze tra i modelli di comunicazione di un paese come l’Egitto di Mohammed, dove la televisione è ancora il primo mezzo di informazione, contrapposto agli eventi e alle campagne sui social media usate dalla Gran Bretagna di Toby per la presentazione dell’anno della Luce Unesco.

Arrivare ad Erice per me è stata un’avventura, dispersa nell’aeroporto di Fiumicino insieme ad altri validi compagni di viaggio, ma come ogni avventura si è rivelata un’esperienza che ogni giornalista dovrebbe fare.

Abbiamo avuto sei giorni per conoscerci, confrontarci sulle esigenze del nostro pubblico, sulle tematiche scientifiche sensibili, che cambiano di paese in paese, e sulle scelte comunicative che ogni giorno ci troviamo ad affrontare.

A malincuore abbiamo lasciato Erice alla volta dell’aeroporto di Palermo. E come al termine di ogni scuola e di ogni avventura la domanda da porci è una sola: che cosa ho imparato? Ho imparato che il nostro ruolo di comunicatori e giornalisti è quello di creare un ponte tra la scienza e le persone, ho conosciuto nuovi strumenti per farlo e capito che il nostro mestiere è difficile e richiede curiosità e impegno, ma quando trovi la verità, non puoi tenerla per te.